lunedì 22 ottobre 2012

UNISABAZIA 2010/11 - L'Imperatore Ashoka

L’Imperatore Ashoka: un Costantino indiano?

La fine dell’invasione dell’esercito di Alessandro Magno provocò nei territori occupati lotte e disordini che dai confini dell’impero macedone (il fiume Indo) si ripercossero ad est, nel bacino del Gange, laddove Alessandro non era mai giunto.

Chandraguptra/Sandrokotto
Ne approfittò proprio quel giovane guerriero del clan Maurya, Chandragupta, che qualche anno prima Alessandro aveva conosciuto personalmente nel proprio accampamento, e che i testi greci ricordano col nome di Sandrokotto. Nel 324 a.C. Chandragupta si impadronì del trono del Magadha, nel nord-est, già nelle mani del clan Nanda. In pochi anni allargò il suo dominio verso occidente, fino all’odierno Afghanistan, e successivamente verso levante e a sud, fino al Mysore. L’impero di Chandragupta, che durò fino al 312 a.C., arrivò quindi a comprendere quasi tutto il sub-continente indiano.
Continuò la sua opera Bindusara, figlio di Chandragupta e (probabilmente) di una principessa greca, a sua volta figlia di un generale di Alessandro. Il nuovo re mantenne costanti rapporti col mondo ellenistico. Alla sua corte risedettero infatti due ambasciatori greci. Si narra che un giorno Bindusara chiese al re greco di Siria, Antioco, di inviargli dei fichi secchi, del vino dolce e un sofista. Il re rispose che avrebbe mandato il vino e i fichi, ma che le leggi greche non permettevano di fare commercio di filosofi!
Dopo di lui salì al trono il figlio (illegittimo) di Bindusara, Ashoka, il sovrano che a tutt’oggi ha lasciato il più duraturo ricordo di sé nella storia dell’India. Ashoka era pertanto un diretto discendente dei Greci.
Ashoka
Ashoka (il cui nome significa “il senza-dolore”) ascese al trono nel 274 a.C., all’età di circa 20 anni, si dice dopo aver fatto uccidere tutti i fratelli e le sorelle.
Otto anni dopo la presa del potere egli iniziò una violenta campagna militare per conquistare il regno Kalinga, nel S-E dell’India (oggi Orissa), l’unica regione importante ancora indipendente. Si legge in un suo editto che la guerrà costò la vita di 100mila uomini, 150mila furono deportati, e centinaia di migliaia feriti. La popolazione Kalinga fu quasi interamente annientata. A quel punto l’opera di costruzione e di consolidamento dell’impero Maurya, e quindi di unificazione dell’India, era completata. Il rischio di nuove invasioni da occidente era scongiurato.
Le devastanti conseguenze della guerra impressionarono però profondamente il giovane Ashoka. Egli stesso dice che il pensiero della morte e della prigionia di tanti uomini “angustia e opprime il re caro agli déi” (1). Iniziò così un processo che lo portò a convertirsi agli insegnamenti del Buddha (2).
Se la realtà storica della conversione è attestata dalla documentazione dell’epoca, in primis dagli editti emanati da Ashoka stesso, le modalità della sua adesione al buddhismo sono avvolte dalle leggende, o quanto meno da notizie non verificabili. Si narra ad esempio che il giorno dopo la vittoria finale sui Kalinga Ashoka si trovò a camminare nel campo di battaglia in mezzo ai cadaveri e che, in preda ai rimorsi, non riuscì più a dormire. Inoltre, la moglie, la regina Devi, inorridita dalle atrocità della guerra – i fiumi erano divenuti rossi del sangue dei caduti – aveva lasciato il palazzo con i figli, Mahindra e Sanghamitra, che divennero poi monaci e diffusero il buddhismo a Sri Lanka.
Ma già la nascita e la sorte di Ashoka erano state predette dal Buddha (quindi almeno due secoli prima), secondo quanto è narrato in un testo in realtà posteriore, l’ Aśokavadana (La leggenda di Aśoka). Nella sua vita precedente, Ashoka era un bambino di nome Jaya che, mentre giocava con la terra, aveva visto passare il Buddha. Avrebbe voluto offrirgli del cibo ma, non avendo nulla con sé, mise nella ciotola del Buddha la polvere con cui stava giocando. Il Buddha vide la purezza della sua motivazione, e predisse che Jaya, nella vita successiva, sarebbe stato un grande re, di nome Ashoka, che avrebbe adornato Jambudvipa, cioè l’India, con 84mila reliquiari per la felicità delle genti. E così accadde.
Si dice inoltre che la conversione di Ashoka avvenne sotto la guida di un monaco di nome Upagupta. Per un anno il re visse in un monastero, per poi iniziare un periodo di pellegrinaggi sui luoghi “sacri” della vita del Buddha (3). Creò poi dei centri di studi buddhisti, fece donazioni alle comunità religiose, comprese quelle jaina e brahmaniche. Edificò ospedali per gli uomini e per gli animali, e centri per la coltivazione delle erbe medicinali. Cercò anche di porre ordine all’interno delle varie scuole buddhiste, convocando a Pataliputra, la capitale del regno (oggi Patna), il terzo concilio, durante il quale si tentò di definire il Canone, cioè una raccolta “ufficiale” delle trascrizioni degli insegnamenti orali del Buddha. Favorì anche l’invio di missionari in tutti i territori dell’impero, ed anche oltre i confini, fino alla Grecia e all’Egitto.
Il simbolo del suo impero divenne il Dharmachakra, la Ruota del Dharma, che oggi si trova al centro della bandiera indiana (4).
La bandiera dell'India con il dharmachakra
Nonostante il suo totale sostegno al buddhismo, Ashoka non attivò mai una politica discriminatoria né su base religiosa né su base sociale, quella divisione in caste che il buddhismo rifiutava. Cercò piuttosto di attuare una politica interna ed estera fondata sui principi pan-indiani della non-violenza e del rispetto degli esseri viventi, e sull’interdipendenza tra tutte le forme di vita, anche vegetali. Ad esempio, facendo scavare pozzi, impiantare boschetti di alberi da frutta e filari di piante ombrose lungo le strade. Proibì la caccia, favorì per quanto possibile l’alimentazione vegetariana.
Perché i suoi editti non venissero dimenticati, li fece incidere su rocce e pilastri, in varie lingue, tra cui il greco e l’aramaico, ed ancora oggi sono visibili in diverse località dell’India.
Probabilmente la visione politica di Ashoka non consisteva nella fondazione di uno “stato buddhista” (un impronunciabile ossimoro, per chi scrive!), il che avrebbe contraddetto ogni sua idea di tolleranza e imparzialità, ma soprattutto avrebbe inasprito le tensioni interne all’impero. Da un punto di vista politico alle spalle di Ashoka non c’era solo tutta la tradizione indiana – buddhismo, jainismo, brahmanesimo – ma anche quella greca, filtrata da Alessandro e dai regni ellenistici. Il suo sforzo fu quindi teso a creare le condizioni per organizzare uno stato forte, sicuro nei suoi confini, bene amalgamato nelle sue innumerevoli componenti etniche, culturali, religiose, sociali. Fondato anche su rigorosi principi etici, quali la tolleranza verso le diverse visioni, l’obbedienza verso le gerarchie, in famiglia e nella società, la generosità. All’esterno, cercò di sostituire all’imperialismo e all’aggressione militare una politica di accordi, creando stati satelliti e diminuendo la necessità di sorveglianza delle frontiere. In tutto questo, il buddhismo poteva svolgere un ruolo fondamentale, quello di fornire lo “sfondo” su cui edificare il modello di stato che Ashoka vagheggiava.
Certo è che grazie alla politica di Ashoka il buddhismo, fino a pochi decenni prima una piccola setta “eretica” nel mare delle correnti spirituali indiane, si affermò in tutta l’India. E subito, forse anche a causa della sua stessa crescita, si divise nelle due tradizioni, tuttora esistenti, semplicisticamente chiamate “Mahayana” e “Hinayana” (Grande e Piccolo Veicolo).
Ashoka morì nel 231 a.C.
Negli ultimi anni di vita, si narra, gli rimasero solo un piatto d’oro e uno d’argento, tutto il resto essendogli stato sottratto dai suoi stessi ministri. Ed egli li donò ad un monastero, e mangiò in piatti di terracotta. Un giorno gli fu portato mezzo mango. Ed egli diede ai monaci anche questo frutto, perché venisse suddiviso tra loro. Fu la sua ultima elemosina.
Dopo la sua morte, ebbe inizio la sua leggenda, ma nel contempo il suo impero iniziò a disgregarsi, e 40 anni dopo crollò definitivamente. L’ultimo suo successore, con il quale ebbe fine la dinastia Maurya, fu il re Pusyamitra, che morì assassinato da un brahmano.

Ashoka & Costantino

Nei testi sull’India si ritrova frequentemente l’espressione “Ashoka, il Costantino indiano”, che tende a stabilire un diretto parallelismo tra la figura del sovrano orientale e quella dell’imperatore di Roma.
Costantino
In genere, i parallelismi storici, sebbene intriganti, sono molto pericolosi, in quanto possono mettere a confronto personaggi, epoche, situazioni in realtà non paragonabili, se non in maniera superficiale, aneddotica, non scientifica (5).
Ashoka è vissuto in India, in un contesto politico, religioso, linguistico ecc. ben diverso da quello romano. Ed è vissuto (304 – 232 a.C.) oltre 500 anni prima di Costantino I (274 – 337 d.C.). una distanza culturale, temporale, geografica, incolmabile. Tuttavia, è possibile tentare di mettere a confronto, sia pure con approssimazione, un aspetto non secondario delle loro politiche: l’atteggiamento tenuto dai due “Grandi” nei confronti della religione. La tradizione buddhista per Ashoka, quella cristiana per Costantino.
Di Ashoka si è detto. Molte ed anche divergenti tra loro sono le valutazioni degli storici sulla sincerità della sua conversione al Dharma del Buddha. Ashoka probabilmente non si propose di fare opera di proselitismo a favore del buddhismo attraverso i suoi editti. Ma non necessariamente questo significa che fece cinicamente ed opportunisticamente ricorso al Dharma del Buddha quale instrumentum regni, per mantenere l’impero unito e ordinato contro avversari interni ed esterni. Anche sotto questo aspetto, forse fu un monarca ideale, o forse un mediocre sovrano, ma un abile “piazzista” di se stesso.
La vicenda di Costantino I, noto anche come Costantino il Grande, è più nota. Divenne “Augusto d’Occidente” nel 306 d.C., all’interno della tetrarchia voluta da Diocleziano. Solo nel 312, dopo aver sconfitto Massenzio per tre volte (l’ultima a Ponte Milvio, presso Roma) ebbe il controllo di tutta l’Italia. L’anno dopo, 313 d.C., con il famoso editto di Milano, concordato con Licinio, l’altro Augusto rimasto dopo un periodo di guerre civili, pose fine ufficialmente alle persecuzioni contro i cristiani, dando inizio ad un’epoca non solo di tolleranza, ma di verso e proprio favore nei confronti del cristianesimo (6). Tale politica si accentuò ulteriormente dopo la sconfitta di Licinio (324 d.C.), quando Costantino divenne unico imperatore. Allora egli fece edificare nuove chiese, elargì donazioni, concesse privilegi ai chierici, adottò simboli religiosi di tipo cristiano (ad es. sulle monete), riconobbe alle chiese il diritto di ricevere beni per testamento, introdusse il riposo domenicale ecc.
Perché Costantino fece queste scelte? Probabilmente, non cercava tanto di favorire una vera e propria supremazia del cristianesimo (ciò che farà Teodosio nel IV secolo), quanto piuttosto di evitare eccessive tensioni all’interno di un territorio così vasto e composito, che avrebbero provocato fratture insanabili tra i culti pagani e i nuovi culti, tra cui il cristianesimo e il culto mitraico (il 25 dicembre, si noti, è il giorno della nascita di Cristo, ma anche di Mitra, il Sol Invictus). Un disegno politico lungimirante, il suo – come quello di Ashoka, d’altronde – che presagiva la crescente importanza del culto cristiano per rafforzare lo stato. Anche qui, forse, la religione come instrumentum regni, quindi.
In effetti gli storici sono molto discordi tra loro nel valutare la sincerità della politica di Costantino, ed ancor più nel giudicare la sua conversione al cristianesimo, anch’essa, come per Ashoka, avvolta nella leggenda.
La storia più famosa, ed anche più improbabile, è quella della visione avuta da Costantino nel 312, prima della battaglia di Ponte Milvio. Mentre stava pregando – senza dubbio qualche divinità pagana – apparve in cielo, visibile a tutti, una scritta in greco sopra un incrocio di luci sul sole: τουτω νικα, touto nika, vinci con questo (poi divenuto in hoc signo vinces, con questo segno vincerai). Nella notte gli apparve poi Cristo in persona, che lo esortò ad adottare quel segno come vessillo. Quindi Costantino contattò subito dei sacerdoti cristiani, perché lo istruissero su questa religione a lui ignota. Questo l’inizio del suo percorso di conversione.
Tale vicenda è però raccontata solo in un testo del vescovo cristiano Eusebio di Cesarea, del 325, mentre innumerevoli sono le versioni successive, e le interpretazioni date: dai reali fenomeni astronomici ai meteoriti alle interpretazioni pagane legate ai culti solari, ecc.
Non è nemmeno certo se Costantino abbia mai ricevuto il battesimo (forse, si dice, in punto di morte). Anche se è comunque plausibile un suo sincero avvicinamento al cristianesimo.
Un ultimo, significativo esempio, che consente ancora una volta un parallelismo con la politica religiosa (o con l’uso politico della religione) di Ashoka, è la convocazione di un concilio, il famoso concilio di Nicea del 325. Essa fu resa necessaria per risolvere definitivamente il problema dottrinale relativo alla Trinità, poiché il vescovo Ario negava l’uguale natura del Padre e del Figlio. Il concilio si concluse con la sconfitta di Ario, dichiarato eretico, e la redazione del Credo niceno, formulazione ufficiale della chiesa. Ma ciò che qui importa è sottolineare quanto la presenza di Costantino, autorità politica e statale, si sia fatta sentire per tutta la durata del concilio, influenzandone profondamente i lavori e le conclusioni. Il che sancì la fine (accettata, forse voluta da ambo le parti per reciproca convenienza) del principio della separazione tra politica e religione, tra stato e chiesa.
Aveva detto Gesù Cristo, tre secoli prima: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Matteo 22, 21).


Testi e siti Internet citati e /o consultatiDanielou, Storia dell’India, Ed. Ubaldini
Batchelor, Il risveglio dell’Occidente, Ed. Ubaldini
Gnoli e altri, La civiltà indiana, Ed. UTET
Pugliese Carratelli, Gli editti di Aśoka, Ed. Adelphi
Filoramo (a cura di), Storia delle religioni - Cristianesimo, Ed. Laterza
Citati, Storia di Aśoka, il tiranno che illuminò le sue tenebre, La Repubblica, 13/2/2003
http://it.wikipedia.org (voci: Aśoka, Costantino, In hoc signo vinces)


Note:

1) “Caro agli déi”, in sanscrito Devanampriya, era un titolo onorifico spettantegli, come pure Priyadarshi, ovvero “dallo sguardo gentile”.
2) Si ricordi che il Buddha storico, Siddhartha Gautama, morì (entrò nel nirvana definitivo, nella terminologia buddhista) nel 486 a.C. circa.
3) Tradizionalmente sono quattro:
Lumbinī, il luogo di nascita; Bodhgayā, il luogo del Risveglio; Sārnāth, dove predicò il primo sermone; Kuśīnagar, dove entrò nel Parinirvana.
4) In effetti la Ruota del Dharma buddhista è formata da otto raggi, ovvero gli otto aspetti del sentiero elencati nella Quarta Nobile Verità, la Via che conduce alla cessazione della sofferenza. Il chakra (= ruota) introdotto da Ashoka contiene 24 raggi, ed è piuttosto il simbolo del modello ideale che ha ispirato la sua azione di governo, il raja chakravarti, il monarca cosmico, che esprime sovranità politica con una forte valenza etica. Una simbologia riconoscibile pertanto da tutte le componenti culturali dell’impero, che si rifà alla tradizione buddhista senza renderla egemone agli occhi delle altre.
5) Fermo restando che la storia non è e non vuole essere una scienza “esatta” come la matematica o la fisica, ma è una scienza umana, e senza che questo la ponga in una posizione gerarchicamente inferiore.
6) Recita l’editto: “…sia consentito ai cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinchè la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità”.


m. mauro ton ko, ottobre 2010

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